Tra le innumerevoli situazioni che un preparatore atletico o un personal trainer deve affrontare ce n’è una più che mai complessa e delicata: allenare una donna in gravidanza.

Il vero problema risiede nella paura di non sapere gestire su più piani il rapporto con la cliente. Chi respira lo sport e vive tra palestre e ambiti agonistici è abituato a contesti in cui “si decide a tavolino” che caratteristiche deve avere la trasformazione, che si tratti di dimagrimento, di vincere una gara o una partita, la percezione di poter avere sotto controllo almeno l’obiettivo è presente, in un certo qual modo rassicurante. Nel caso di una gravidanza, le cose si complicano. La cliente ci fornisce una lunga lista di obiettivi, di solito legati al suo aspetto esteriore, alla sua salute e a quella del nascituro. L’immagine “target” che una donna in gravidanza deve porsi è in perenne trasformazione: non si tratta di una foto statica ma di un film molto difficile da dividere in fotogrammi. A tutto ciò si aggiunge che nei diversi momenti della gravidanza, alcuni degli obiettivi sono in conflitto reciproco. Durante il primo trimestre è abbastanza facile conservare il proprio peso forma, ma è molto difficile poter conservare le proprie capacità condizionali, perché è il trimestre più delicato e anche quello in cui, il cambiamento in atto, fa percepire più stanchezza.

Durante il secondo trimestre le capacità condizionali possono essere bene esercitate, salvo complicazioni, ma il peso e la forma del corpo stanno velocemente cambiando e devono essere accettati.
Durante il terzo trimestre ogni velleità estetica è ampiamente surclassata dalla necessità di “sentirsi bene”, ma a questo punto sono i medici a raccomandare il contenimento del peso. Nessun tipo di preparazione specifica richiede, in solo nove mesi, i tanti cambiamenti di rotta che sono richiesti ad un allenamento in gravidanza.

Ecco un decalogo delle cose da sapere per interagire efficacemente durante il percorso di allenamento:

1 – Bisogna ricordare che si ha davanti una persona bombardata da emozioni contrastanti, in parte dovute agli ormoni, ma anche e soprattutto dovute ai tanti cambiamenti che stanno avvenendo e che avverranno. Non bisogna ricondurre “paure, richieste, dubbi..” ai soli ormoni: si cadrebbe nella superficialità, oltre che esser profondamente irritanti per chi vi sta interpellando. Si deve aprire la mente alla comprensione di uno stato che forse non si ha mai provato in prima persona, ma che va rispettato.

2 – Verranno fatte richieste difficili da gestire come “aumentare la massa magra, diminuire la massa grassa”, “rimanere dello stesso peso”, “fare esercizi per tenere la pancia piatta”, “fare allenamenti per non avere problemi per il parto”; molti di questi obiettivi sono irrealistici: il compito di un personal trainer sarà quello di passare questa informazione e far accettare alla cliente nuovi obiettivi per così dire “strutturali”.

Gravidanza

3 – Gli obiettivi ristrutturati che dovrete proporre non consistono in compromessi, ma in nuovi obiettivi che devono realmente appartenere alla cliente, non essere accettati suo malgrado. Per tutte le donne normopeso, accettare un aumento ponderale di peso sarà necessario. Il compito è guidare la cliente verso il nuovo obiettivo “aumentare di soli X kg”, dove X è un numero che si è ragionevolmente stabilito insieme o che seguirà le indicazioni del ginecologo, spiegando che l’aumento modesto non è sinonimo di ingrassamento ma di salutare crescita del feto.

4 – Una donna in gravidanza non è malata, sta solo attraversando una condizione unica e speciale che richiede attenzione e sensibilità. A meno che la gravidanza non sia a rischio, ci sono ampi margini di movimento per allenarsi e sta all’allenatore capire che confini vanno rispettati. Partite dalla richieste di informazioni sull’evolversi della gravidanza e proseguite con una dettagliata anamnesi medica e sportiva.

5 – Quando si crea la programmazione per i nove mesi di lavoro sportivo con la cliente, si deve renderla partecipe di tutte le variabili che ci possono essere. Bisogna mostrarle letteralmente il percorso studiato per lei dando informazioni semplici ma non semplicistiche sul perché delle varie scelte, spiegando quanto sia importante ridurre il volume la frequenza dei suoi allenamenti, particolarmente nel primo trimestre. Oppure spiegando che la parola “pesi” non deve essere associata a “lavoro massimale” e pertanto non crea problemi per la salute del bambino.

6 – Come tutti gli altri atleti, anche una donna in gravidanza può fornire al preparatore atletico informazioni importanti, prima e durante gli allenamenti. Si deve chiederle cosa le piace fare e cosa era abituata a fare prima di rimanere incinta e ruotare intorno a quello: è sempre fondamentale che l’aspetto ludico e quello dell’appagamento personale vengano presi in considerazione, in quanto aprono la strada come propulsori della motivazione.

7 – Si deve restare focalizzati sul fatto che davanti si ha una persona e non un bicchiere di cristallo. Una volta studiato il caso e tracciato il percorso da seguire, bisogna seguirlo con serenità e fiducia. Sarà normale eseguire esercizi cui si era abituati “senza pancia” e percepire sensazioni strane, nuove ma non per questo sintomo di complicazione. È importante esser pronti a capire dalla mimica e dalla gestualità dell’atleta se qualcosa non va, una respirazione irregolare, il riscontro di fatica eccessiva o una postura scorretta sono chiari sintomi di disagio e può portare senza allarmismo all’interruzione dell’esercizio, ci si accerta poi che tutto vada bene, ricordando alla cliente che non si sta preparando per le olimpiadi, avendo sempre pronto un piano B da far subentrare al precedente con successo e nonchalance.

8 – Se la cliente è un’atleta di vecchia data, bisogna farle cambiare visione dell’allenamento: non deve più essere un momento di auto perfezionamento con cui dar fondo alle proprie energie, ma un meraviglioso strumento di protezione e arricchimento per il loro corpo, il loro bimbo e il loro spirito.

9 – Se la donna in gravidanza è un’atleta neofita si deve chiarire fin da subito che non sarà la gravidanza il momento in cui raggiungeranno la forma migliore della loro vita. Chi si approccia allo sport dopo una vita di sedentarietà tende a sovrastimare le possibilità di aspettativa e chi lo fa in questo periodo in particolare tende ad avere ancor meno lucidità.

10 – Infine, ma in primo piano, il personal trainer deve essere in grado di saper interagire non solo con la donna in gravidanza, ma con un ampio entourage di persone che, anche se in buona fede, intralceranno il lavoro dell’allenatore. Anche se la figura professionale del preparatore atletico è ben definita ci saranno amici, parenti, mariti, genitori pronti a dare il loro parere non richiesto su ciò che l’atleta sta facendo. Da un lato: si deve portare pazienza; si ha il compito di aiutare chi ha scelto questo percorso, aiutandola a fugare i dubbi che le vengono suscitati. Dall’altro: bisogna farsi forti delle proprie conoscenze ed esser pronti a spiegare il perché di ogni scelta tecnica, senza sentirsi sotto esame, ma con la consapevolezza di poter combattere l’ignoranza attraverso la condivisione di informazioni.

Tratto dalla rivista Performance del mese di Maggio 2015

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